Dalla stanza G124 il seme di un futuro possibile
Testo di Pietro Grasso
Novembre 2014
Quando, accompagnato dal Senatore Piano, sono entrato in quel laboratorio di idee, analisi e concrete prospettive di intervento e di cambiamento che è la stanza G124, ho avvertito la sensazione di avere davanti a me il seme di un futuro possibile. Una grande stanza coperta di pannelli di compensato con sopra foto, appunti, progetti: una moderna “bottega” in cui condividere sfide e soluzioni che ricorda quelle dei grandi artisti e artigiani dei secoli passati.
Le parole delle ragazze e dei ragazzi che hanno affrontato il primo anno di questa sfida, con la loro energia, le loro competenze e il loro entusiasmo, mi hanno restituito il senso di quanto importante per il nostro Paese possa essere la figura di Senatori a vita che provengano dalle arti, dalle scienze e dalla cultura, e che vedano la loro azione in Senato come un impegno serio, a servizio del Paese, a partire dalle loro competenze specifiche.
Lo studio del “rammendo delle periferie” in pochi mesi è entrato a tal punto nell’immaginario collettivo italiano da essere stato già preso come spunto per una delle tracce di maggior successo dell’Esame di Stato, realizzando così in parte uno degli obiettivi primari evocati da Piano e dal suo gruppo di studio: coinvolgere le scuole e i giovani nel cambiamento del Paese, a partire dal loro territorio e dalla bellezza che si trova in esso.
Nella mia vita ho conosciuto le peggiori periferie italiane. Sono luoghi nati spesso con le migliori intenzioni ma trasformati dall’incuria e dalla disattenzione in moderni inferni metropolitani. Il lavoro del gruppo G124 sembra seguire la lezione di Italo Calvino che proponeva, al termine del suo Le città invisibili, di “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Sono convinto che se le idee di questo rapporto avranno la possibilità di concretizzarsi e diventare un modello di intervento per tutti i sindaci, otterremmo il risultato di dare spazio e durata a una nuova idea di periferia e, quindi, di città e di Paese.